Allaboutjazzitalia - Luca Casarotti - ottobre 2018 -Powell To The People (Play 2018)
Non c'è tipo d'ensemble, dal duo all'orchestra, con cui il pianista Massimo Colombo non abbia voluto cimentarsi, nelle vesti sia di compositore che d'esecutore. Per uno studio sulla musica di Bud Powell, il trio canonico con basso e batteria è la scelta più ovvia, ma anche quella che più espone al rischio di essere schiacciati dal peso della tradizione. Rischio che questo Powell to the People evita sapientemente. Al fianco di Colombo ci sono il bassista Maurizio Quintavalle e il batterista Enzo Zirilli. Nel disco sono presentate dieci composizioni dell'autore eponimo: opportunamente, ”Crossing the Channel” è proposta in due versioni, entrambe meritevoli di essere pubblicate, perché dalla differenza tra le rispettive improvvisazioni si capisce con quanta inventiva Colombo possa accostarsi allo stesso pezzo. L'approccio alla materia è filologico, ma questo non significa che il trio si sia appiattito sul modello. È non solo inevitabile, ma anche giusto che lo sforzo nella mimesi dell'originale emerga nei brani quintessenzialmente bop, come ”Hallucinations”, ”Down with It” e il già citato ”Crossing the Channel”, affrontando i quali non si possono eludere gli stilemi e le prassi esecutive che definiscono il genere. Altrove l'ibridazione ha uno spazio maggiore, pur in un contesto idiomatico che resta ancorato al jazz, o almeno ai linguaggi di derivazione jazzistica. Il caso più macroscopico è la lettura di ”Cleopatra's Dream”: due minuti e mezzo di funk acustico, sostenuto da un groove di Zirilli al contempo rilassato e molto articolato. Altre interpolazioni sono più sottili ma non meno percettibili. Qualche esempio: i cluster, le corde pizzicate, le volate di note legate e i momenti contrappuntistici—per così dire—neoclassici che innervano il solismo di Colombo, inevitabilmente allontanandolo dallo stile di Powell, e che qui si possono ascoltare soprattutto in ”Buster Rides Again” e in ”Willow Groove”. Oppure la semplice idea armonica in do nell'introduzione di ”Blue Pearl”, poi riproposta a tratti e con finezza nello sviluppo del brano. O ancora il breve episodio rumoristico all'inizio di ”Buster Rides Again”, e il double time feel (in sostanza: suonare al doppio del tempo metronomico) in ”Strictly Confidenzial”. Insomma, la maturità artistica consente a Colombo, Quintavalle e Zirilli di misurarsi con Bud Powell da una posizione d'equilibrio, che sintetizza il rispetto per la musica omaggiata, il piacere di suonarla e l'esigenza di non limitarsi al manierismo bop.
Jazzitalia - Alceste Ayroldi - settembre 2018 - Powell To The People (Play 2018)
Bud Powell come non si era mai sentito: cioè, alla Bud Powell. Il recupero delle sonorità del piano jazz trio di memoria storica, di quelli che sciorinano jazz con un tiro da brivido, che lasciano piovere note come da una cascata e con un feeling partecipato di particolare intensità ("Crossing The Channel"). Insomma, il jazz come si suonava un tempo, con un blues africano carico di fresca rugiada ("Buster Rides Again"). Colombo, Quintavalle e Zirilli ci ricordano come la musica di Bud Powell sia stupendamente attuale e che possa essere rinfrescata con il personale verbo di ognuno dei triumviri. La mano destra di Colombo che costruisce e incatena le idee con un ritmo sostenuto, tanto che bisogna tenere vigile l'orecchio per coglierne ogni sfumatura, senza rinunciare al suo periodare europeo, che echeggia naturalmente intonazioni classiche; ciò anche quando le strutture di Powell argomentano frasi polisemantiche ("Celia"). Quintavalle è di una precisione disarmante: preciso come pochi, lascia sempre sentire il suo passo forbito e gustoso, ancor più quando la temperatura del metronomo si fa incandescente ("Down With It"). Zirilli, a parte essere una macchina dello swing, colora, crea architetture armoniche che vengono dispiegate dalle corde di Colombo e sostenute da Quintavalle, tanto da dare un nuovo volto all'immortale "Blue Pearl". Un disco che è sì un tributo al più grande pianista bebop, ma è anche un saporito assaggio di quel jazz Made in Italy capace di confrontarsi con il primigenio idioma, senza dover far appello a varie stramberie. Un lavoro di particolare spessore, che merita un attento ascolto, grazie anche a una registrazione di alta qualità, mercé l'ingegnere del suono Massimo Stano (Mast Recording Studio di Bari). E meriterebbe anche di essere gustato dal vivo.
Jazzit - Eugenio Mirti - luglio 2018 - Powell To The People (Play 2018)
“Powell To The People” è il progetto dedicato da Massimo Colombo al pianista e compositore statunitense Bud Powell. Nella registrazione del trio, che è completato da Enzo Zirilli alla batteria e Maurizio Quintavalle al contrabbasso, sono rivisitati alcuni dei brani meno conosciuti di Powell, oltre ai celeberrimi Hallucination e Celia. La forma delle composizioni si adatta allo spirito creativo del gruppo, che percorre strade personali ed originali
Jazz Convention - Flavio Caprera - luglio 2018 - Powell To The People (Play 2018)
Powell To The People potrebbe subito lasciar pensare a un disco tributo su Bud Powell, eseguito in trio, magari anche con brani famosi del suo repertorio. Ma questo disco non è così come ci si potrebbe aspettare. Colombo/Quintavalle /Zirilli magari anche con brani hanno saputo raffigurare con le note il mondo di Bud Powell che non era solo musicale ma anche personale. La loro è una rilettura “gentile”, di forte sensibilità e nello stesso tempo di moderna espressività. Basta ascoltare Zirilli con che tatto usa le bacchette e percuote piatti e tamburi. Powell visto con gli occhi di oggi avendo ben in mente il carico storico che si porta appresso. E il Quintavalle disegna il tempo con il contrabbasso cadenzando decenni di storia e vitali equilibri di una narrazione che vede in Colombo il player che suona, “in terza persona”, con swing, sentimento, melodia e tecnica sopraffina. Consigliato!
Musica jazz - Nicola Gaeta - maggio 2018 - Powell To The People (Play 2018)
Allo stile “sassofonistico” di Earl Bud Powell, codificatore del pianoforte bop maestro di generazioni di strumentisti, viene reso omaggio da tre capaci e sensibili rappresentanti del jazz nostrano. Il veterano Colombo non ci fa rimpiangere le scorribande improvvisati di Powell né i suoi assolo saturi di swing (Celia, Crossing The Channel, Hallucination) e neppure la struggente introspezione delle ballare (I’ll Keep Living You). E non sono da meno i suoi complici, impegnati a intrecciare trame ritmiche di grande efficacia e maestria. Quintavalle è contrabbassista dalla cavata precisa e determinata: il suo lavoro in Blue Pearl è un piccolo concentrato di stile e di conoscenza della tradizione. Mentre il drumming del torinese Zirilli, batterista impegnato su più fronti e dall’attività assai prolifica, è l’anello di congiunzione di una musica piacevolmente coinvolta nella riproposta dell’idioma afro-americano nella sua dimensione più godibile. I tre conoscono a menadito il linguaggio del periodo che hanno deciso di rivisitare e se la cavano con sicurezza assoluta. E l’album è calorosamente consigliato.
Allaboutjazz - Jim Worsley - maggio 2018 - Powell To The People (Play 2018)
Powell To The People could certainly be heard as a tribute to jazz pianist Bud Powell. It could just as easily be heard as an introduction to the legend's iconic music. It fulfills both categories with the emotion and virtuosity Powell exuded in his playing. Pianist Massimo Colombo, bassist Maurizio Quintavalle, and drummer Enzo Zirilli enthusiastically take on the challenge and pleasure of Powell's artistry in presenting several Powell classics. The members of this Italian trio all have impressive career resumes. They also have the chops. Powell's 1956 release, Jazz Giant (Norgran Records), with bassist Ray Brown and drummer Max Roach is well represented as they dive into "Strictly Confidential," "I'll Keep Loving You," and the classic "Celia." From Time Waits (Blue Note, 1958) drummer Zirilli nicely interprets Philly Joe Jones on "Buster Rides Again." Bassist Quintavalle explores the bass genius of Paul Chambers on "Crossing The Channel," "Cleopatra's Dream," and "Down With It," all from the 1959 outing The Scene Changes (Blue Note Records). The trio also offers up selections from Bud! (RCA, 1957), Piano Interpretations (Norgan Records, 1956) and The Genius of Bud Powell (Verve Records, 1956). Pianist, composer, and arranger Colombo is a seasoned veteran having recorded his first record some 30 years ago. He has recorded on the international front with the likes of Billy Cobham, Peter Erskine, Bob Mintzer, and Jeff Berlin. Here he channels Powell in nuance, style, power, and grace. His texture, feel, and melodic sensibilities are well placed and utilized in honoring the memory and the historic music of the amazing Bud Powell.
Alias - Il Manifesto - Guido Festinese - aprile 2018 - Powell To The People (Play 2018)
Il sottotitolo del disco è minimale ed esplicativo: The Music of Bud Powell. Il pianista simbolo del bebop, ormai, è il musicista più citato che ascoltato e studiato davvero. Ne rende tutta la febbricitante carica visionaria un pianista abituato alle sfide difficili, al confronto e allo studio, Massimo Colombo, che con ottimi compagni di suono restituisce in interplay tutta l’urgenza veloce del tocco dello sfortunato musicista afroamericano.
Corriere della sera - Claudio Sessa - aprile 2018 - Powell To The People (Play 2018)
Il tastierista Massimo Colombo è anche didatta e sa bene l’importanza di Bud Powell come compositore, non solo come meraviglioso pianista. Lo dimostra in Powell To The People (Play Records), con Maurizio Quintavalle ed Enzo Zirilli a contrabbasso e batteria, riuscita selezione di temi powelliani. Colombo riaggiorna certe atmosfere, ma conserva la bellezza melodica e soprattutto il profumo degli accordi, il peso di ogni nota.
Gazzetta del Mezzogiorno - Ugo Sbisà - aprile 2018 - Powell To The People (Play 2018)
Rendere omaggio a Bud Powell non significa soltanto celebrare uno dei solisti che hanno maggiormente rivoluzionato il linguaggio pianistico del jazz moderno, ma anche contribuire a rivalutarne la statura compositiva, troppo a lungo inspiegabilmente trascurata. Bene ha fatto allora, il pianista milanese Massimo Colombo, docente del Dipartimento di musica jazz del Conservatorio “Piccinni” di Bari, ad affrontare la registrazione di Powell To The People, un album edito dall’etichetta Play www.juspushplay.it, che già dal titolo, parafrasando il noto slogan barricadero “Power To The People” (potere al popolo, ndr) , si ripromette di portare Powell e la sua musica sotto i riflettori, non tanto e non solo a beneficio del grande pubblico, quanto anche di quelle nuovissime generazioni di solisti che troppe volte cadono vittime della fascinazione degli epigoni, ma ignorano tutto o quasi dei capiscuola. Sarà quindi il caso di ricordare che Bud Powell (1924-1966), al pari e per molti versi prima di Monk, fu tra i protagonisti di quella rivoluzione che oggi viene ricordata con il termine di bebop e che traghettò il pianoforte dallo stile eroico della cosiddetta “golden age” a una sintassi più asciutta, fatta di fraseggi veloci, di costruzioni melodiche caratterizzate da un’urgenza espressiva talora addirittura prevaricatrice dell’eleganza formale, ma al contempo caratterizzata da dinamiche che, a detta degli storici, intendevano trasferire l’impeto solistico del sax di Charlie Parker sulla tastiera del pianoforte. E in aggiunta a ciò, asciugando significativamente il ruolo della mano sinistra, pose le basi per una nuova idea del trio-piano, basso e batteria - alla quale si sono successivamente rifatte schiere di pianisti, da Horace Silvere a Cenar Walton. Per questa sua impresa musicale, Colombo ha scelto i propri partner con estrema attenzione, facendo appunto riferimento a quell’eccellenza italiana costituita dal Dipartimento del Conservatorio barese. Ecco allora che il ruolo del contrabbasso è stato affidato a un maestro del calibro di Maurizio Quintavalle, jazzman di grande esperienza e dalla non comune versatilità stilistica, mentre il sostegno ritmico è garantito da Enzo Zirilli, il cui drumming intelligente è un più che significativo compendio di swing, creatività e soprattutto leggerezza. Con questo sostegno fuori dal comune, Colombo affronta alcuni dei temi più noti dell’universo powelliano, da Hallucinations - titolo più che significativo, considerato che Powell soffriva di schizofrenia - al sinuoso e danzante Celia, dall’elegante Blue Pearl - se ne ascolti la bella intro di Quintavalle - con le sue reminiscenze latine alla ballad I’ll Keep Lovin’ You e poi ancora Cleopatra’s Dream - qui in una versione dalla danzante funkyness - e Strictly Confidencial, riproposto in un gustoso medium tempo. Sono giusto alcuni degli undici titoli prescelti che Colombo e compagni affrontano evitando accuratamente il vuoto esercizio di stile, prediligendo piuttosto l’idea di un linguaggio moderno e stilisticamente maturo, che sa parlare la lingua del jazz dei nostri tempi, senza però snaturare la natura dei brani. Un bel lavoro per quanti conoscono e apprezzano le composizioni di Powell, ma anche per quanti desiderassero entrare in maggiore familiarità con un troppo spesso colpevolmente negletto gigante del jazz moderno. E allora, Powell to the People, ma soprattutto forever.
Jazzitalia – Alceste Ayroldi – novembre 2017 - Tempered blues (2017 UR Records)
Variazioni Goldberg in salsa Das wohltemperierte Clavier, oder Praeludia, und Fugen durch alle Tone und Semitonia - alias, Il Clavicembale ben temperato – in chiave di blues, con abbondanti messe di libera improvvisazione. In nuce, un'opera importante, monumentale per Massimo Colombo, che attraversa gli stati del suo essere con piccole perle di saggezza pianistica e compositiva, dal gusto variegato. Il pianista e compositore milanese evoca la grande tradizione – della musica classica, del jazz e del blues – con mezzi poco consueti: anzi, con un mezzo poco consueto per l'abbisogna, perché gli ottantotto tasti non sono di un grand piano, come ci si aspetterebbe, ma di un Kawai Vpc1 1 virtual piano, a cui il pianista conferisce calore e vitalità degne d'altre epoche. Quarantotto brani, brevi e intensi, che declinano il vocabolario d'ampio spettro di Colombo: contemporaneo, tradizionale, epico, poetico, narrativo; ecco, Colombo, indipendentemente dallo stilema evocato, è sempre narrativo, nel suo raccontare storie che non necessitano di parole ("Gil Choro", "Lo sbattimento" tra tutte). Se è vero che qui si attraversa tanto la storia della musica moderna, quanto quella del pianoforte, l'impronta personale di Colombo è ben disegnata su ogni brano, anche quando – come chiosa finale – dice a tutti che la musica si ritaglia spazi molto più ampi delle strettoie imposte dalla categorie, e gigioneggia nel mescolare la classica con il jazz e una spruzzatina di ragtime ("Per sempre Bud"). Qui non c'è alcun esercizio di stile: è un album sentito, costruito con ardore e amore per la musica.
Jazz Convention – Flavio Caprera – agosto 2017 - Tempered blues (2017 UR Records)
Massimo Colombo, pianista e compositore colto ed elegante, dedito all'improvvisazione ma anche esperto di scrittura e conseguenti applicazioni, ha inciso un disco che rappresenta la sua duplice anima, classica e jazz. In 48 frammenti sonori ispirati a Bach e al suo Clavicenbalo Ben Temperato ha coniato un'altrettanta serie di blues in cui sfrutta pienamente le possibilità offerte dalle dodici battute. È una sequenza di pezzi che nascono da precedente scrittura ma che sono anche improvvisati seguendo quella che è l'anima di una musica che ha nutrito il jazz (Decime in Monk). Tempered Blues è un disco fascinoso ed illuminante perché la maestria di Colombo sta nel far conoscere le infinite possibilità che offre il blues anche innestato di cultura occidentale e perfezione classica. La sua ricerca si spinge all'interno anche di altre musiche popolari (Gil Choro, Lune Opposte) per "scovare" il blues e traslarlo nelle sue composizioni che risultano essere efficaci e di immediata comprensione. Tempered Blues è un disco da ascoltare tutto d'un fiato per catturare da ogni singolo frammento l'essenza di una musica immortale e sempre attuale.
Alias - il manifesto - Guido Festinese - agosto 2017 - Tempered blues (2017 UR Records)
Sottolinea Maurizio Franco, curatore delle note, che parlare di “blues temperato” è quasi un ossimoro, per una pratica sonora afroamericana che ha fatto della fluttuazione di intonazione un cardine pressante e essenziale, mentre l’Occidente del “temperamento” ha preso un’altra strada. Eppure basta riflettere su quanto jazz abbia accolto il blues, o ne abbia saputo conservare il profumo o qualche tratto, per comprendere perché questo progetto di Colombo al piano abbia un fascino profondo e legittimo.
L'Eco di Bergamo - Renato Magni - giugno 2017 - Tempered blues (2017 UR Records)
Musicista schivo e serio, Massimo Colombo alterna ottimi lavori con combo jazz arricchiti dalla presenza di fuoriclasse d’Oltreoceano ad una bella vena compositiva memore del suo amore per la musica di tradizione scritta. Qui di fronte alla sola tastiera (ma attenzione!, le splendide profondità dello strumento sono digitali) gioca con le memorie bachiane del cembalo temperato, infilando 48 aforistiche, illuminanti e talvolta spregiudicate, invenzioni attorno alle regioni del blues, alternando tonalità maggiore e relativa minore, completando due volte il periplo tonale.
Musica Jazz – Ivo Franchi – aprile 2017 - We All Love Burt Bacharach (2016 Play & Oracle Records Ltd)
Dribbla con eleganza l’insidia implicita contenuta negli album-tributo, Massimo Colombo. Il progetto che il pianista milanese e il suo trio internazionale (al basso il polacco Oles e alla batteria l’amico americano Erskine) dedicano a Bacharach è una gemma. Gli arrangiamenti, pur rispettando le indimenticabili melodie del compositore di Kansas City, sono liberi e swinganti quanto basta. I brani cantati da Kathleen Grace – che viene dal folk ed è proprio una bella scoperta – non fanno rimpiangere gli originali perché sono molto diversi e posseggono una freschezza invidiabile (Raindrops Kee Fallin’ on My Head). In più l’apporto di Stever e di Mintzer (in Arthur’s Theme, una delle cose migliori del cd) fanno la differenza. Ultima nota di merito, la scelta del repertorio: oltre ai super classici, da The Look Of love a Walk on by, la selezione è caduta anche su temi meno noti come God Give me Strenght, magnifico frutto della collaborazione tra Bacharach ed Elvis Costello. Che ci dà pure la voglia di riascoltare “Great Jewish Music: Burt Bacharach” (1997, Tzadik), da Marc Ribot, Dave Douglas, Wayne Horvitz e soci…
Il Manifesto – S. Cr. – gennaio 2017 - We All Love Burt Bacharach (2016 Play & Oracle Records Ltd)
Vera parata di stelle per un omaggio fra jazz, soul e funk al grande compositore americano. Tredici tracce arrangiate dal pianista Massimo Colombo, sulle quali intervengono Bob Mintzer al sax, il batterista Peter Erskine, il trombettista Michael Stever e la vocalist Kathleen Grace. Opera raffinata e senza sdolcinature, di per sé già un merito.
Il Giornale – Paolo Giordano – dicembre 2016 - We All Love Burt Bacharach (2016 Play & Oracle Records Ltd)
Ci sono brani che rimangono nella storia anche se non passano sempre in radio. Ad esempio quelli di Burt Bacharach, uno dei massimi compositori pop del Novecento. La forza di una grande canzone è di non perdere forza anche quando è interpretata da altri. In questo We All Love Burt Bacharach, Massimo Colombo (piano, arrangiamenti), Darek Oleszkievicz (double bass), Peter Erskine (batteria), Michael Stever (tromba), Kathleen Grace (voce), Bob Mintzer (sax tenore) e Aaron Serfaty (percussioni), riprendono il repertorio di Bacharach da The Look Of Love a Raindrops Keep Falling’ On My Head e Walk On By restituendo l’atmosfera raffinata tra jazz e swing senza cadere nell’effetto piano bar e, anzi, aggiungendo un bel tocco personale.
Jazzitalia – Gianni Montano - (settembre 2016) - Trio Grande (2015 Crocevia di suoni)
Massimo Colombo vola a Los Angeles per registrare il suo ultimo cd e, in onore dei suoi illustri partner, intitola il disco "Trio Grande". Alla batteria siede, infatti, Peter Erskine, colonna della migliore formazione in assoluto dei "Weather Report", ma anche collaboratore di altri personaggi importanti quali John Taylor o Michael Brecker. C'è, poi, a completare il terzetto, Darek Oleszkiewicz, ferrato bassista polacco da anni residente negli Stati Uniti, anche lui con un curriculum di tutto rispetto corredato da nomi di peso e spessore, da James Newton a Brad Mehldau, tanto per intenderci. Il pianista lombardo è ritornato da qualche anno a privilegiare la dimensione acustica, dopo aver esplorato per un certo periodo della sua carriera artistica la fase elettrica, in maniera anche sperimentale. L'album presenta nove brani originali, provvisti di temi gradevoli e di uno sviluppo successivo flessuoso e articolato, con passaggi di notevole complessità, eseguiti, però, in souplesse, senza alcuno sforzo apparente da parte di tre virtuosi sui rispettivi strumenti. Massimo Colombo, in particolare, rivela una pregevole indipendenza fra le due mani e, in questo modo, enuncia i motivi, ci lavora sopra e attorno, mentre, dietro, contemporaneamente, costruisce una sfarzosa armonizzazione. Peter Erskine è un campione della discrezione. Nel senso che il percussionista americano non è mai invadente o prevaricatore. C'è, offre un contributo decisivo alla riuscita del cd, ma opera fra le righe, mai uscendone fuori, assicurando, così, un accompagnamento efficace e fantasioso.Darek Oleszkiewicz è il contraltare solistico del leader e sa far cantare il suo contrabbasso, oppure sterza su interventi di sostegno, di supporto, consistenti e allo stesso tempo leggeri. Fra i nove brani del cd si segnala in particolare quello eponimo per una introduzione piena di note, virtuosistica, del pianoforte, che va poi a sfociare in un tema quasi ansiogeno, in quanto sembra sempre in attesa di una definizione, di un completamento che rimane in sospeso: non arriva mai.c"Trio Grande" è un'incisione fortemente voluta da Colombo in un sito lontano, in un ambiente differente, per far risaltare maggiormente, in questa prestigiosa location, la sua idea di un jazz raffinato, classico, ma non classicistico, privo di connotazioni temporali precise, oltre le mode del momento, insomma.
Jazzit (disco scelto) – ADV (marzo 2016) - Trio Grande (2015 Crocevia di suoni)
Inciso in quel di Los Angeles, dove è avvenuto l’incontro/sessione tra Colombo, Erskine e Oleszkiewicz, il disco vede interagire tre musicisti in un contesto di assoluta spontaneità, nel quale l’interazione empatica gioca un ruolo fondamentale. Ciò che ne risulta è un lavoro di ampio respiro, intensamente lirico (Anna Magdalena, Jane, una ragione in più), con un’estetica che attinge sia al jazz sia alla musica eurocolta esibendo, un playng raffinato e solare.
A proposito di jazz – Gerlando Gatto (gennaio 2016) - Trio Grande (2015 Crocevia di suoni)
Il jazz non conosce confini: è forse questo il contenuto principale di questo album registrato a Los Angeles il 25 e 26 settembre del 2104 e che a nostro avviso rappresenta l’opera migliore finora prodotta dal pianista milanese (classe 1961). Colombo, accompagnato nell’occasione da due stelle di primaria grandezza quali Peter Erskine alla batteria e il polacco Darek Oleskiewicz al contrabbasso, ci offre un saggio delle sue capacità sia compositive sia esecutive. Così l’album si snoda attraverso nove composizioni originali di Colombo (di cui alcune già pubblicate, altre inedite) in cui si avverte chiaramente la sapienza musicale del compositore che conosce assai bene la musica classica e in particolare l’arte del contrappunto, elemento caratterizzante molte parti dell’album. Così non a caso il CD si apre con “Anna Magdalena”, un brano dedicato alla moglie di Bach in cui Colombo coniuga la conoscenza bachiana con un linguaggio prettamente jazzistico… o forse sarebbe più opportuno dire con quel linguaggio così particolare che Colombo si è costruito negli anni e che è il frutto , il compendio , per usare le stesse parole del pianista, “ di tutto quello che hai ascoltato”. Quindi riferimenti, come già detto, alla musica colta… ma anche al flamenco, al bop (“Bah And Boh”), al funky, …e non mancano il ricorso ad un’improvvisazione prettamente jazzistica (“Trio Grande”) e due splendide ballad quali “Jane” in cui si può apprezzare e la maestria di Erskine alle spazzole e la capacità di Oleskiewicz di cesellare suadenti linee melodiche, e la conclusiva “Una ragione in più” caratterizzata da un dolce malinconico andamento. Se Colombo si conferma eccellente pianista, occorre sottolineare anche il ruolo dei suoi partners. Superlativo, come sempre, Peter Erskine il cui drumming contrappuntistico costituisce una delle punte di diamante dell’intero album: lo si ascolti con particolare attenzione in “La mia spalla sinistra”. Dal canto suo Darek Oleskiewicz evidenzia grande versatilità e musicalità sia nella parti in assolo sia nell’accompagnamento che sa fornire ai compagni.
Musica jazz (disco del mese) – Patrizia Landriani (dicembre 2015) - Trio Grande (2015 Crocevia di suoni)
Il viaggio di Colombo inizia dalla dedica alla moglie di Johan Sebastian Bach, Anna Magdalena, come a dire che è quello il punto di partenza, e tutt’ora il Clavicembalo ben temperato è il suo pane quotidiano; con il resto, invece, sembra volerci dire dove va e (forse) dove arriva, come per esempio alla colonna sonora di Una ragione in più. Nel mezzo, tra vecchie e nuove composizioni, il pianista si muove tra pensieri iberici, riflessioni melodiose (aggettivo che non ha il significato di banali piacevolezze) e armonie complesse che tanto più sono concettuali quanto meglio sembrano svelarsi tracciando la strada dell’ascolto. Le due mani del pianista, che sembrano del tutto ignorarsi delineando ciascuna i propri temi, ritmi, armonie e melodie, danno forma a meravigliosi dialoghi: ne è ottima illustrazione Trio grande. Il tema della mano sinistra è particolarmente caro a Colombo, e qui se ne comprende il motivo. Lo stile non è acqua, il disco sorprende per la fluidità che i tre protagonisti sanno costruire magistralmente nella varietà compositiva dei brani: Erskine si impone come presenza creativa di ragguardevole raffinatezza, Oleszkiewicz è un’opportunità coloristica, anche nei pregevoli assolo.
Il Manifesto – Guido Festinese (dicembre 2015) - Trio Grande (2015 Crocevia di suoni)
C’è poco da dire: il “classico” trio con piano, quando è sotto le mani di grandi musicisti ogni volta è un concentrato di energia e intuizioni poetiche. Perché vedere all’opera tre musicisti che si muovono come fossero uno, ascoltare temi che si aprono come paraventi che celano stanze segrete e labirintiche, mettersi in ascolto della misteriosa felicità sorgiva che si propaga a chi ascolta è gran cosa. E se la storicizzazione del jazz lascia pochi spazi all’inedito, per quanto riguarda questa particolare formazione, si ricordi che come diceva il grande Josè Samargo, “è ancor più arduo indagare il noto”. Lo fanno ad esempio Massimo Colombo, Peter Erskine e Darek Oleszkiewicz in Trio Grande di nome e di fatto.
Suonare – Angelo Foletto (novembre 2015) - Trio Grande (2015 Crocevia di suoni)
Da quando qualche “musicista classico” con deviazioni aberranti ha strillato contro i finanziamenti ai festival jazz, considerati usurpatori del mondo classico, è cresciuta la voglia di riprendere ad ascoltarlo. Con grande soddisfazione. Soprattutto come quando in questo album monografico di Colombo, pianista milanese leader dell’Inside Jazz Quartett, qui al centro di una formazione internazionale di forte carattere e solidità, non c’è un numero che viene voglia di riascoltare subito. Sia per la linea tersa, inventiva e sicura del suo strumento, un pianoforte senza isterie anche quando è brillante, e senza asfissie timbriche anzi estrosamente volubile nel suono e nelle dinamiche, non solo agile negli abbellimenti e fervido nei cantabili. Sia per la costruzione priva di astruserie e di dimostrività armoniche o ritmiche, ma attenta e pensata, delle linee musicali portanti, che magnetizza gli eccellenti compagni di viaggio. In una carrellata di quadri musicali – sono nove – ognuno con la sua fisionomia propria, dal tono confidenziale ma colto. Classicismo, per capirci.
Strumenti Musicali – Roberto Valentino (ottobre 2015) - Trio Grande (2015 Crocevia di suoni)
Massimo Colombo è musicista (oltre che didatta) di vasta esperienza. Ma forse mai prima di questo album è riuscito a mettere in pratica, in modo così convincente, tutte le proprie qualità di strumentista, compositore e leader. Registrato di getto in uno studio di Los Angeles, Trio Grande vede il pianista milanese nell’ottima compagnia di Darek Oleszkiewicz e Peter Erskine, tipi che non hanno certo bisogno di presentazioni. Il trio è – scusate il gioco di parole – “grande” in tutti i sensi: in termini di interplay, sensibilità, ispirazione. Le composizioni di Colombo si sono rivelate un ottimo punto di partenza; il resto, cioè lo sviluppo collettivo, è praticamente venuto da solo.
Class – Antonio Orlando (Luglio 2015) - Trio Grande (2015 Crocevia di suoni)
Futuro ma piano piano
All’inizio era Bach, Johan Sebastian Bach. Da lui si è srotolata, inarrestabile e inevitabile, tutta la musica che arriva fino a oggi, rock e jazz compresi. Sono 300 anni di suoni che partono dal compositore tedesco e a lui puntualmente ritornano quando si tratta di mettere un punto e di andare a capo. Bach il grande è da sempre sullo sfondo dello spirito musicale di Massimo Colombo, 54 anni, compositore e pianista, diplomato al Conservatorio Verdi di Milano, un’intensa attività concertistica e discografica in Italia e all’estero, sempre ricercando un equilibrio originale tra espressione accademica e innovazione jazzistica. Tra Bach e Bill Evans si potrebbe dire, come dimostra l’album Trio Grande registrato a Los Angeles con Peter Erskine, batteria, e Darek Oleszkievicz, basso. Il soffio bachiano è presente nell’iniziale Anna Magdalena, dedicata alla seconda moglie di Bach, musicista anch’ella, o in Valzer all’indietro, scandita dal respiro caldo del basso. Grazie a un pianismo sempre brillante, tutte le composizioni, sempre scritte da Colombo, dimostrano un senso profondo della storia musicale e guardano verso il futuro, fuori dalla finestra, senza dimenticare il passato, ciò che è conservato in cassaforte. Ciò che Bach ha deposto molti anni fa.
Corriere della sera – Claudio Sessa (Luglio2015) - Trio Grande (2015 Crocevia di suoni)
Il miniaturista Colombo
Ciò che lega la musica del pianista Massimo Colombo al jazz contemporaneo è la sua sensibile capacità di unire spirito compositivo e spazi per l’improvvisazione. I suoi brani non sono pretesti per lasciare briglia sciolta ai solisti, ma sofisticate miniature che costituiscono l’«argomento» delle successive invenzioni. Il fatto è tanto più interessante in “Trio Grande” perché con lui suonano due notevoli personalità: il contrabbassista polacco Darek Oleszkiewicz, che negli Stati Uniti è più noto come Darek Oles e ha un suono profondo ed espressivo; e soprattutto la star dell’album, Peter Erskine, già batterista dei Weather Report, sempre fantasioso nei colori e mobile nei ritmi.
Il Giornale – Franco Fayenz (Luglio 2015) - Trio Grande (2015 Crocevia di suoni)
La classe di Massimo Colombo
Massimo Colombo, classe 1961, milanese, è pianista e compositore fra i più preparati e prolifici ed è musicista a 360 gradi, la qual cosa costituisce per chi scrive un nobile titolo di merito. Qui aggiunge una nuova chicca alla copiosa discografia a suo nome, presentandosi con Peter Erskine batteria (qualcuno lo ricorda in Italia nel 1972 con l’orchestra di Stan Kenton?) e Darek Oleskiewicz contrabbasso. I tre nomi giustificano il titolo del cd. Musica di Colombo, raffinata e interplay.
Silenziosa(mente) – Giulio Cancelliere.wordpress.com (aprile 2015) - Trio Grande (2015 Crocevia di suoni)
Pianista tra i più attivi ed eclettici, Massimo Colombo ha appena pubblicato l’ultimo di una lunga serie di album a suo nome, nell’ambito di una discografia variegata che ruota attorno al fulcro del jazz, ma connotata anche di musica classica e contemporanea. È il trio la dimensione scelta ancora una volta, ma con nuovi e interessanti partner: il contrabbassista polacco Darek Oleszkiewicz (Dianne Reeves, Jackie Ryan, Charles Lloyd, Brad Mehldau) e il batterista Peter Erskine, una delle macchine ritmiche dei Weather Report degli anni ’80 e di molti gruppi fusion, ma che vanta un’intensa attività anche nel jazz mainstream.L’album è stato inciso a Los Angeles — così racconta Colombo — e la sessione di registrazione si è svolta all’insegna della più spontanea collaborazione e professionalità.Il brano d’apertura, Anna Magdalena, dopo un incipit pianistico pensoso, si muove su un tema in crescendo per poi soffermarsi su un assolo di basso e, quindi, su un interludio vagamente flamenco, per poi reintrodurre il tema e lasciar il pianoforte libero di dialogare con la ritmica. In Valzer All’Indietro è ancora il contrabbasso che condivide il tema con il piano, ma è quest’ultimo, sullo swing incalzante del batterista, al conquistare il centro della scena. La ballad Jane ci riporta su un terreno più riflessivo con le spazzole di Erskine che accarezzano il rullante. Trio Grande, con l’intro che ricorda il miglior Tristano, è un brano dinamico che mette in evidenza le doti di improvvisatore del leader, la sua capacità di essere leggibile e originale. La Mia Spalla Sinistra — che sembra parafrasare il titolo di un drammatico film — è il brano più lungo del disco, ha una linea melodica interessante e complessa, a più sezioni,: dopo un solo di contrabbasso e di pianoforte, ritorna il lungo tema rielaborato e sviluppato in un’altra improvvisazione pianistica. Senz’altro più spensierato e sorridente Bah And Boh, dal vivace incedere bop, occasione anche per un breve assolo di Erskine. Stratego — presumo citazione di un vecchio gioco bellico da tavolo — si articola su una sorta di marcia funky molto coinvolgente. Il disco si avvia alla conclusione con Balcanico, un veloce sette ottavi (poi in cinque) in cui ancora Erskine si guadagna il proscenio e infine con la ballad Una Ragione In Più, cantabile e malinconica, che chiude un lavoro di livello, sia per i musicisti, sia per le composizioni, tutte originali di Colombo.
Jazzitalia - Roberto Biasco (settembre 2012) - Bach off beat (2012 Crocevia di suoni)
"Niente male quel Bach, se solo avesse avuto un buon batterista…." La citazione di Keith Richards, irriverente come si conviene al personaggio, torna in mente ogni volta che il "maestro di cappella" viene trascinato in ambito contemporaneo. E dire che in realtà di ottimi batteristi, seppure a posteriori, Johann Sebastian ne ha ne ha avuti tanti, a partire da Kenny Clarke e Connie Kay del glorioso Modern Jazz Quartet guidato da John Lewis, che a Bach ha sempre guardato con devota ammirazione. Le rivisitazioni in ambito jazzistico non si contano, basterebbe ricordare i nomi di Jack Loussier, degli Swingle Singers (chi non conosce la celeberrima sigla di "Quark"?). Sono proprio questi i riferimenti d'obbligo di questo progetto, una sorta di "Bach with rithm", in cui un batterista ed un pianista "di jazz" – Ferdinando Faraò e Massimo Colombo- si insinuano in una classica formazione da camera, con tanto di oboe, corno inglese e clarinetto basso. In particolare il pianista Massimo Colombo frequentatore sia del jazz che della musica "colta", sembra essere il regista del progetto, cui si prestano volentieri, con il gusto dell'improvvisazione e, perché no, del divertimento, gli austeri professori d'orchestra Omar Zoboli all'oboe, sax soprano e corno inglese, Yael Zamir al corno inglese ed alla voce e Sergio Delmastro al clarinetto e clarinetto basso. Le tre sonate di Bach, in tre movimenti ciascuna, opportunamente riarrangiate, sono alternate a tre composizioni originali, brevi pause di "riflessione improvvisata": "Agra Off Beat" di Omar Zoboli – con i profondi vocalizzi della voce di Yael Zamir, più vicini alla musica contemporanea che a Bach – "So Sad Off Beat" e "Folk Off Beat" due performance di Massimo Colombo, che spaziano tra George Gershwin e suggestioni lusitane. Il risultato finale è un album quanto mai piacevole ed intrigante, anche se potrebbe fare arricciare il naso sia ai "rigorosi" appassionati di musica classica, che ai "talebani" della tradizione afro-americana. D'accordo, forse non si può definire un album "di jazz", manca quel "senso del blues" che sprizzava da ogni nota di John Lewis e Milt Jackson, ma oggi come oggi, stabilire i contorni di questa parola magica è diventata impresa impossibile, se non del tutto inutile. Tutti gli altri, coloro che hanno voglia di fruire l'arte senza troppi steccati ideologici, potranno godere dell'ottima musica barocca, suonata ai massimi livelli, accompagnata dalle spazzole di una batteria che farà battere il piedino a chiunque. Seguiamo quindi l'assunto di Mario Brunello, che ha sempre affermato, senza dubbio alcuno: "Bach è buono per tutti, indispensabile per tutti" e lasciamoci irretire da una trama musicale che, a trecento anni di distanza, regge davvero bene qualsiasi rivisitazione.
All.about.jazz – Neri Pollastri (aprile 2012) - Bach off beat (Crocevia di suoni)
Non è certo facile avvicinarsi a Bach in modo "non accademico": i rischi sono quelli della banalizzazione, della caduta nel kitsch o, forse ancor peggio, dell'inutilità. Ma gli artefici di questo Bach Off Beat sono o esperti autori di musica barocca e contemporanea che il Bach "originale" lo conoscono molto bene (Zoboli, Zamir e Delmastro), o navigati e rigorosi jazzisti che l'hanno amato prima di gettarsi nella musica improvvisata (Colombo e Faraò): nessuno di loro, insomma, poteva avere l'intenzione di "usare" Bach, "ab-usando" di lui. Ecco quindi l'idea guida di questo progetto attorno a Bach: arrangiare per quintetto tre delle Triosonaten per organo del compositore di Eisenach, intervenendo in parte sul ritmo e aprendo in esse degli spazi improvvisativi. Un'idea rispettosa, neppure troppo distante da un concetto non meramente museale di "musica classica" e invece ben lontana da esperimenti alla Loussier o alla Uri Caine. In aggiunta, tre "code" improvvisate dal vivo, con l'intervento della voce. Il risultato è assai apprezzabile, perché le Triosonaten sono splendide e riscoprirle in una trascrizione che ne esalta la complessità assegnandone le parti a strumenti come sax, oboe, clarinetti e piano - con la non indifferente e straniante presenza della batteria - è un vero piacere. Ma anche perché gli inserti originali e le improvvisazioni che si aprono tra le righe rendono inconsueta, ma tutt'altro che balzana, la versione proposta dei capolavori barocchi. Diverso il discorso per le code improvvisate, anch'esse apprezzabili ma che hanno più il senso di un omaggio contemporaneo che, prendendo solo spunti da Bach, si muova in piena libertà - una distanza resa tangibile dagli interventi della Zamir, che qui lascia il corno inglese per esprimersi alla voce. Lavoro atipico, di difficile classificazione, ma per molti motivi degno di interesse e attenzione. Valutazione: 4 stelle
Nuove dissonanze.it – Jessica Di Bona (marzo 2012) - Bach off beat (Crocevia di suoni)
L'interscambio tra diversi generi musicali è il risultato della primordiale bramosia di ogni artista, il movente che porta avanti la commistione tra tradizioni diverse, tra epoche e percezioni differenti e a volte persino opposte e che rappresenta la via orientativa percorsa dagli autori di ''Bach off beat''.
Cinque musicisti si uniscono per dar vita all'istintuale voglia di mettere insieme per rinnovare, reinterpretare, riascoltare le trio sonate bachiane (rispettivamente: II in do minore, BWV 526; I in mi bemolle maggiore, BWV 525; VI in sol maggiore, BWV 530).
Massimo Colombo (pianista, compositore), oltre ad essere noto nel panorama jazz, non nasconde la passione per altri generi musicali e si occupa dell'arrangiamento delle sonate insieme ad Omar Zoboli (corno inglese, oboe, sax soprano), l'ideatore del lavoro, che nel brano Agra off beat duetta con la voce piacevolmente sirenica di Yael Zamir (corno inglese e vocals), soffusa ed a tratti evanescente in Folk off beat, decisa e crescente in So sad off beat, tutti brani concepiti quasi come delle improvvisazioni. Nondimeno non sono da sottovalutare la cadenza ritmica perseguita dalla batteria di Ferdinando Faraò e il clarinetto temperato ma non per questo flebile di Sergio Delmastro.
L'affiatamento artistico è ben delineato e ciò che colpisce è certamente l'approccio nuovo nei confronti di uno dei più grandi geni musicali di tutti i tempi. Tuttavia sembra che il manierismo sia d'obbligo dinanzi a certe opere ed a volte si ha l'impressione che l'intento calligrafico superi la ricerca dell'essenza, ma al contempo non potrebbe essere altrimenti, data la grandezza formale e sistematica del compositore di Eisenach, ed è forse proprio questa che impedisce la preponderanza netta di un genere altro, e che, primitiva e onnisciente, permane granitica, accanto ad apprezzabili virtuosismo e creatività di musicisti di un certo spessore, che bene alternano l'idea e l'interpretazione e che si cimentano in un'impresa affatto banale, bensì lungimirante e lodevole per la stessa ragione di essere stata concepita.
Corriere della sera – Enrico Girardi (marzo 2012) - Bach off beat (Crocevia di suoni)
Non c’è nulla di strano o di nuovo nel prendere i pezzi di J. S. Bach e arrangiarli in ogni modo possibile, perchè la musica del Sommo, dato l’altissimo grado di assolutezza e astrazione, si presta al gioco come quella di nessun altro compositore al mondo. Tra l’altro il quintetto che si rende artefice dell’operazione (Omar Zoboli all’oboe, Massimo Colombo al piano, Yael Zamir alla voce e al corno inglese, Sergio Del Mastro ai clarinetti e Ferdinando Faraò alle percussioni) trasforma in chiave jazz alcune Sonate senza scardinarne l’impianto armonico. Fin qui tutto bene, i musicisti sono bravi e il sound è divertente. Ma la parte più interessante e originale del cd sono i tre pezzi che Zoboli e Colombo scrivono ispirandosi a Bach solo alla lontana. Ma con un felice estro.
Eco di Bergamo – Renato Magni (febbraio 2012) - Bach off beat (Crocevia di suoni)
Un quintetto animato dal pianista Massimo Colombo e dal fiatista Omar Zoboli interpreta gli arrangiamenti di tre Trio Sonate di Bach (BWV 525, 526, 530), aggiungendo, a commento di ogni partitura bachiana, un brano a firma degli stessi Colombo e Zoboli. Ottimo esempio della sempre più necessaria ridefinizione dell’interazione tra compositore, esecutore e improvvisatore.
Fuori tono – Luca Pavanel - blog il Giornale (gennaio 2012) - Bach off beat (Crocevia di suoni)
Qualche volta è pericoloso prendere la “musica forte” dei giganti, come ama definirla ultimamente il musicologo Quirino Principe, e passarla nel filtro della cosiddetta modernità e le sue multiforme proposte. Vedi Bach, non di rado rivisto e corretto, riproposto. E pazienza se a volte gli esiti sono risultati modesti o discutibili; è capitatato anche se i propositi al principio erano buoni.
Non è il caso dell’operazione targata Zoboli-Colombo-Zamir-Delmastro-Faraò. Del resto non poteva essere diversamente, visto il livello dei musicisti in campo. Se l’intenziore era quella di sottolineare/esaltare l’eterna “attualità” dei compositore di Eisenach, missione compiuta: lo dimostrano sia le generali scelte interpretative sia gli interventi pianistici di Massimo Colombo all’insegna dell’invenzione improvvisativa.
Non è un mistero che Johann Sebastian allo strumento fu anche un grandissimo improvvisatore; e probabilmente, si fa centro a pensare che molta della sua musica sia nata proprio nel corso delle sue innumerevoli immaginazioni estemporanee. Che ancora oggi sono materia di riflessione e danno lo spunto per imitazioni, variazioni e ri-visitazioni personali.
L’incisione di Colombo & Co. ha un altro pregio – che i cultori bachiani integralisti e gli amanti dei circoli esclusivi forse potrebbero considerare una leggera pecca (se ne faranno una ragione…) -: può piacere a più di un pubblico; sia a quello degli appassionati di Classica sia ai cultori del jazz: i primi potranno scoprire quel che si può fare di diverso con materiale pregiato di secoli fa; i secondi, apprezzando la polifonia di stampo europeo, scoprire (o ri-cordarsi) che la storia dell’improvvisazione ha radici assai lontane, anche nella scrittura del kapellmeister di Lipsia.
A proposito di Jazz – Gerlando Gatto (gennaio 2012) - Bach off beat (Crocevia di suoni)
Si fanno sempre più frequenti le commistioni tra jazz e musica colta e occorre sottolineare come oramai questo tipo di operazione sia supportato da una ben definita progettualità e da una approfondita conoscenza di ambedue le materie trattate. Questo album non sfugge alla regola ché anzi ci presenta un gruppo di tutto rispetto composto sia da jazzisti sia da musicisti provenienti dall’area colta, in grado di ben eseguire le partiture bachiane. In realtà qui ci si rivolge ad un aspetto precipuo della vastissima produzione di Bach, vale a dire il “Trio Sonatas” per organo cioè la II in do minore BWV 526, la I in mi bemolle maggiore BWV 525 e la VI in sol maggiore BWV 530. Il gruppo, come si accennava, è misto: Omar Zoboli (oboe, corno inglese, sax soprano) è solista avvezzo a frequentare la musica da camera, quella contemporanea e quella barocca; anche la vocalist e solista di corno inglese Yael Zamir e il clarinettista Sergio Delmastro appartengono più o meno allo stesso ambiente; viceversa Massimo Colombo, (pianista di vaglia e valido arrangiatore) e Ferdinando Faraò (batterista e compositore) sono due fra i più acclamati solisti della scena jazzistica nazionale; ebbene il connubio è perfettamente riuscito e le improvvisazioni di Colombo si legano perfettamente con quelle dei compagni d’avventura dando all’album un’assoluta coerenza di fondo. Obiettivo particolarmente difficile da raggiungere in quanto non ci si è limitati ad arrangiare le composizioni di Bach ma intorno e dentro le stesse sono state inserite, come le definiscono gli stessi musicisti, delle “brevi pause di riflessione improvvisata” che se mal concepite avrebbero rischiato di rovinare il tutto.
Il Manifesto – Alias – Guido Festinese (marzo 2011) - Doppia traccia (Crocevia di suoni records)
S’è spesso abusato, in Italia, della definizione “terra di nessuno”, per tentare di descrivere note e operato di musicisti che sembrano aver buttato il cuore oltre l’ostacolo dei “generi”, decidendo di continuare a operare in un crocevia a volte affollato, a volte deserto dove musica scritta e improvvisazione si incontrano. Massimo Colombo è uno di questi, e questa raccolta, divisa in nove Notturni, un Duo Fantasia, quindici immagini e due brani costruiti “jazzisticamente” è, nelle intenzioni, propedeutica per chi è formato alla diteggiatura “classica”, ma ha legittime curiosità per l’approccio jazz. Si potrebbe pensare ad un arido esercizio di stile: vero il contrario, perchè ogni singolo brano è godibile, direbbe il “Principe”, “a prescindere”. E la voce lirica del sax soprano di Clemente è perfetto pendant dei tasti bianchi e neri.
All-about-jazz – Vincenzo Roggero (marzo 2011) - Doppia traccia (Crocevia di suoni records)
Disco intrigante e atipico quello licenziato dal pianista Massimo Colombo e dal sassofonista Felice Clemente. Perché se è vero che di incroci pericolosi tra musica classica e musica improvvisata è costellata la storia del jazz in questo Doppia Traccia vi è un approccio molto naturale e rispettoso, semplice nell'accezione più alta del termine, che lo differenzia dalla maggioranza di operazioni similari, spesso contrassegnate da ridondanze presuntuose o da eccessivi intellettualismi.
I nove "Notturni (op. 581)" sono composizioni per sax e pianoforte ispirate alla celebre raccolta di Frédéric Chopin. Pianoforte e soprano tracciano linee semplici e delicate, che sembrano non voler disturbare la bellezza intrinseca delle composizioni, in questo modo esaltandole ed elevandole ad uno stato di purezza assoluta.
"Duo Fantasia (op. 624)" è una sorta di volano tra il clima "crepuscolare" dei Notturni e quello multicolore delle successive "Immagini (op. 480)". Si conserva il clima intimistico e riflessivo ma la trama si fa più articolata e intricata, con l'aspetto ritmico che crea movimento e favorisce i momenti improvvisativi.
Poi arrivano le quindici "Immagini" per piano solo, quindici bozzetti musicali che spaziano dal blues alla musica brasiliana, dal jazz alla musica etnica, dalla forma ballad alla canzone. La maggior parte supera appena il minuto di durata ma non importa, in quella manciata di secondi si intuisce un mondo, si nascondono paesaggi e la mente può vagare tra fantasia e realtà, tra ricordi e speranze. Chiudono il disco due brani più strutturati nei quali il soprano di Felice Clemente ritorna a dialogare con il pianoforte di Colombo in una sorta di riflessione finale sulla possibile convivenza tra musica colta e musica improvvisata.
Eco di Bergamo – Renato Magni (marzo 2011) - Doppia traccia (Crocevia di suoni records)
Pianista milanese e jazzista, Massimo Colombo ha da tempo evidenziato la propria propensione per la composizione. Coadiuvato dal sassofono soprano di Felice Clemente, snocciola qui “Notturni” e, in solitaria prova tastieristica, i quindici numeri del ciclo “Immagini”, oltre altre due composizioni che danno maggiore spazio all’improvvisazione
Jazzit magazine – Sergio Pasquandrea (marzo 2011) - Doppia traccia (Crocevia di suoni records)
Negli anni Massimo Colombo ha elaborato un vasto corpus di composizioni nelle quali il linguaggio jazz è stilizzato con pratiche di origine classica, anche a scopo didattico. Un esempio sono i brani contenuti in questo cd: ètudes spesso brevissimi, dove soluzioni armoniche e ritmiche di matrice jazz si fondono con cura per la nitidezza timbrica e per la consequenzialità formale, che li apparentano alla musica classica. A volte, come nei Notturni, prevale il versante classico, altre, come in Duo Fantasia, quello jazz, mentre le Immagini sono ognuna una miniatura esemplificativa di un particolare stile jazzistico.
Suono – Pier Luigi Zanzi (marzo 2011) - Doppia traccia (Crocevia di suoni records)
Lavoro molto particolare e caratterizzato, questo, in cui Massimo Colombo, al pianoforte, suona una prima parte del cd con Felice Clemente al sax soprano ed una seconda in solitudine. Le due anime del progetto sono piuttosto diverse; nella parte in solitaria vengono affrontati quasi in forma di studi e/o variazioni elementi e generi musicali specifici, passando davvero per molte cose differenti (blues, jazz, classica di varia estrazione, omaggi anche espliciti tra cui uno molto riuscito alla Penguin Cafè Orchestra), mentre in duo le composizioni hanno una matrice ancor più colta e si fanno più intime, talvolta appena involute ma anche capaci di aperture melodiche riuscite ed efficaci. Un limite è forse proprio nel fatto che si fatica ad integrare un ascolto che si destinerebbe più volentieri a due cd differenti.
A proposito di jazz – Gerlando Gatto ( aprile 2011) - Doppia traccia (Crocevia di suoni records)
Alle volte si dovrebbe evitare di leggere le note che accompagnano i CD; così in questo caso uno legge – cito testualmente – “si tratta di materiale di ausilio allo studio della musica classica a indirizzo jazzistico che va interpretato con swing e con piccole parti da improvvisare per le quali è necessario avere una buona pratica nel jazz” e lascia perdere. E farebbe male ché in realtà, a parte lo scopo per cui è stato inciso, si tratta di un disco valido. Innanzitutto i due protagonisti sono eccellenti musicisti: Massimo Colombo è pianista dalla tecnica sopraffina, dal tocco elegante ed incisivo e dalla fervida inventiva mentre Felice Clemente al sax soprano dimostra di aver ben assimilato la lezione dei “grandi” sopranisti del passato pur avendo sviluppato un linguaggio abbastanza personale.
I due affrontano un repertorio, scritto da Colombo, che, per l’appunto, vuol coniugare musica improvvisata e musica classica ma lo fanno senza alcuna presunzione lasciando che la musica parli da sola senza quegli inutili intellettualismi purtroppo tanto presenti nell’odierna realtà. Ecco, quindi, una serie di nove “Notturni” che ricalcano il clima caro a Chopin senza, ovviamente, avere la pretesa di scimmiottare alcunché. Il “Duo Fantasia” rappresenta una sorta di ponte verso le successive quindici “Immagini”, una serie di deliziosi bozzetti per piano solo, che visitano terreni assai diversificati quali il jazz, il blues, la musica brasiliana, la musica etnica, la canzone. A chiudere ancora due brani eseguiti dal duo, “L’insaziabile tono” e “La linea di spago”, in cui Colombo e Clemente tirano le fila del discorso sviluppato in precedenza.
THE JAZZ YEARBOOK 2011 - Pier Luigi Zanzi - Doppia traccia (Crocevia di suoni records)
Doppia Traccia (Crocevia di Suoni Records) CDS003. SCELTO DA THE YEARBOOK 2011 TRA LE MIGLIORI PRODUZIONI DELL'ANNO. molto particolare e caratterizzato, questo, in cui Massimo Colombo, al pianoforte, suona una prima parte del cd con Felice Clemente al sax soprano ed una seconda in solitudine. Le due anime del progetto sono piuttosto diverse; nella parte in solitaria vengono affrontati quasi in forma di studi e/o variazioni elementi e generi musicali specifici, passando davvero per molte cose differenti (blues, jazz, classica di varia estrazione, omaggi anche espliciti tra cui uno molto riuscito alla Penguin Cafè Orchestra), mentre in duo le composizioni hanno una matrice ancor più colta e si fanno più intime, talvolta appena involute ma anche capaci di aperture melodiche riuscite ed efficaci. Un limite è forse proprio nel fatto che si fatica ad integrare un ascolto che si destinerebbe più volentieri a due cd differenti.
Gentlemen – Andrea Milanesi (maggio 2011) - Doppia traccia (Crocevia di suoni records)
Discorso a parte meritano infine il sassofonista Felice Clemente e il pianista Massimo Colombo, che si sono dati appuntamento tra i righi del pentagramma di una musica scritta e di chiara ispirazione classicheggiante
Note sospese – Riccardo Storti (agosto 2011) - Doppia traccia (Crocevia di suoni records)
È sempre un estremo piacere avere la fortuna di accedere – di tanto in tanto – nel giardino sonoro del pianista jazz Massimo Colombo. In questa sua recente Doppia traccia (Crocevia di Suoni Records, 2010), Colombo si avvale della compagnia di Felice Clemente al sassofono soprano . Il duo firma per intero il CD, benché il fiatista compaia per 4/5 delle composizioni presentate. Le “due tracce” a cui si fa riferimento, riguardano due mondi musicali, apparentemente lontani tra loro: il jazz e la musica classica. Come lo stesso Colombo mette in evidenza nelle note di copertina, il milieu proposto contiene brani jazz per pianisti classici curiosi oppure pezzi dalla severità classica da alleggerire con una buona dose di swing. Dipende quale punto d’ascolto si decida di selezionare. In realtà, Colombo mi suggerisce ad un approccio molto più libero, ma non per questo “incosciente”. Mi spiego meglio: partiamo subito dai 9 Notturni che subito si diffondono dalle casse del nostro stereo, appena inseriamo il CD nel lettore. Colombo ci avverte che la fonte di ispirazione è Chopin. Ma – per favore – non vestiamo i panni pedanti del filologo per forza; semmai fiutiamo il mood che tra gli arpeggi del pianoforte e le sinuosità sensuali del sax si dipana nota dopo nota. E ci accorgiamo, quasi per magia, che questo apocrifo Chopin punta a Bill Evans, sembrando un impressionista offshore oltre Debussy. Però, sotto sotto, da appassionato del prog italiano anni Settanta, percepisco le tenui atmosfere di un altro duo, quello di Franco D’Andrea e Claudio Fasoli nei Perigeo.
In Duo fantasia è, invece, interessante notare come i vari assi portanti si intersichino in un quadro di notevole complessità. Il tempo è jazz (si parte con un contagioso 5/4) così come gli spread improvvisativi del sax, m